Gli obiettivi di Barcellona del 2002 sui servizi per l’infanzia erano stati impostati proprio per aumentare l’occupazione femminile. Ecco perché estendere il servizio è un investimento sia per i bambini che per le famiglie e la parità di genere.
Pubblichiamo di seguito un abstract dell’interessante articolo di analisi statistica sulla correlazione tra servizi all’infanzia e occupazione femminile in Italia, pubblicato sul sito di Openpolis.
**************************************
Asili nido e partecipazione delle donne al mondo del lavoro sono temi strettamente legati. Aumentare l’occupazione femminile era l’intento esplicito degli obiettivi di Barcellona, stabiliti dall’Ue per ampliare l’offerta di servizi prima infanzia.
È importante puntualizzare che il ruolo degli asili nido è persino più ampio. I servizi per la prima infanzia svolgono una duplice funzione: sociale e educativa. Come approfondito nel report Scuole e asili per ricucire il paese, la dimensione educativa è stata per molto tempo sottovalutata. Solo negli ultimi anni si è affermato il concetto che è nei primi mesi dello sviluppo che i bambini pongono le basi per gli apprendimenti successivi. Perciò avere accesso o meno a queste opportunità ha conseguenze decisive sulla possibilità per il minore di sottrarsi alla povertà educativa.
Accanto al ruolo educativo, c’è una funzione sociale molto importante. Offrire questi servizi a un prezzo accessibile può essere un incentivo all’occupazione femminile, e quindi alla parità di genere nonché a una migliore condizione economica del nucleo familiare. In particolare in Italia, dove l’occupazione femminile è rimasta tradizionalmente indietro.
L’Italia è uno dei paesi europei con i livelli più bassi di occupazione femminile. Rispetto a una media Ue di 66,5 occupate ogni 100 donne tra 20 e 64 anni, il nostro paese si trova al penultimo posto con il 52,5%, appena sopra la Grecia (48%).
L’Italia è anche il secondo paese con il più ampio divario occupazionale uomo-donna: 19,8 punti differenza rispetto a una media Ue di 11,5. Per fare un esempio, nei paesi scandinavi e del nord Europa le differenze sono molto più contenute: 1 punto in Lituania, 3,5 in Finlandia, 4 in Svezia.
Il gap occupazionale aumenta se si confrontano i soli uomini e donne con figli. Rispetto a una media europea di 18,8 punti percentuali di distanza tra padri e madri occupate, l’Italia si trova al di sopra di quasi 10 punti (28,1). Un dato in linea con quello della Grecia e molto distante dagli 8,3 punti di differenza della Svezia.
Lo squilibrio è ancora più significativo se si confrontano le occupate rispetto al numero di figli. Nel nostro paese le donne tra 20 e 49 anni senza figli lavorano nel 62,4% dei casi, contro una media europea del 77,2%. Tra le donne con un figlio, le italiane lavorano nel 57,8% dei casi, contro l’80,2% nel Regno Unito, il 78,3% in Germania, il 74,6% in Francia.
La cosa interessante da notare è che nei maggiori paesi Ue le donne con due figli partecipano al mercato del lavoro in misura maggiore delle italiane senza figli. Una distanza che è nell’ordine di 12 punti se confrontata con Regno Unito e Germania, e di quasi 16 rispetto alla Francia.
E anche osservando l’occupazione delle donne con 3 o più figli nei maggiori paesi europei, la quota non è così dissimile da quella delle donne con un solo figlio in Italia. Nel caso della Francia è addirittura superiore: 59,1% delle donne con tre o più figli in questo paese contro il 57,8% delle donne con un figlio in Italia.
Come esista una relazione tra partecipazione delle donne al mercato del lavoro e estensione dei servizi per la prima infanzia lo possiamo vedere attraverso i dati territoriali. Nelle 4 regioni dove la presenza di asili nido e servizi integrativi per la prima infanzia supera il 33%, il tasso di occupazione femminile supera il 60%.
Parallelamente, le regioni con meno occupate coincidono con quelle dove i servizi per la prima infanzia sono meno sviluppati: Campania, Sicilia, Calabria e Puglia. E scendendo a livello locale, nelle province, si nota una sovrapposizione tra le aree del paese dove meno donne partecipano al mercato del lavoro e quelle dove ci sono meno asili.
Ovviamente la relazione può essere letta in entrambi i sensi. Da un lato, le aree del paese con più donne occupate sono anche quelle dove la domanda di posti in asilo nido è più forte. Dall’altro, gravi carenze – se non addirittura assenze – del servizio asilo nido in certi territori non costituiscono sicuramente un incentivo al lavoro femminile. E proprio per questo le conclusioni del consiglio europeo di Barcellona, già nel 2002, insistevano sul potenziamento dei servizi prima infanzia come strumento per aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Intervenire in questi territori può quindi essere un investimento in termini di parità di genere e di partecipazione femminile al mercato del lavoro. Ma oltretutto significa anche fare un investimento in termini di capitale umano dei bambini. Perché l’asilo nido svolge una funzione educativa fondamentale, ancora più importante per ridurre i divari nelle aree del paese che presentano le maggiori criticità.